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Suprema Corte di Cassazione - Sezione Tributaria - sentenza del 02.03.2012 n. 3294

Suprema Corte di Cassazione
Sezione Tributaria
sentenza del 02.03.2012 n. 3294
Motivi della decisione

1) Con il primo motivo viene dedotta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, art. 9, commi 3 e 4, nonchè violazione dell'art. 24 del regolamento Comune di Capannori approvato con delibera di C.C. n. 26 del 13 aprile 2004, regolamento TIA, in relazione  all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. 
Il motivo si sviluppa in una complessa e ricostruzione del quadro normativo che però non viene contraddetta della sentenza impugnata che così si esprime: 











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"Non risulta fondata la tesi, sostenuta dall'appellante, dell'esenzione totale dall'applicazione della tariffa, sul presupposto dello smaltimento in proprio dei rifiuti, nè la tesi subordinata della esclusione dalla tassazione di alcune aree in quanto pertinenze non idonee a produrre rifiuti. Si ritiene infatti che - rilevato che il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3, assoggetta alla tariffa qualsiasi locale o area scoperta, a condizione che non costituiscano accessori o pertinenze dei locali medesimi - non può sostenersi che i locali facenti parte del ciclo produttivo possano ritenersi accessori o pertinenze, ovvero esentabili dal tributo per effetto dello smaltimento in proprio dei rifiuti. In realtà la norma prevede una quota fissa alla quale i locali devono essere assoggettati ed una quota variabile correlata alla quantità dei rifiuti smaltiti, sulla quale spetta una 
riduzione proporzionale alla quantità di rifiuti assimilati che il contribuente dimostri di avere smaltito in proprio". 
La contestazione sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, riguarda invece il passo della sentenza in cui si afferma "mentre non  spetta l'esenzione, spetta invece al contribuente, la riduzione proporzionale  della quota variabile in proporzione ai rifiuti di cui è stato documentato in sede contenziosa, l'avvenuto smaltimento in proprio, peraltro non contestato da ASCIT sul piano sostanziale, ma solo con eccezioni di natura formale".

Il passaggio contiene una duplice motivazione in fatto "la documentazione in sede contenziosa dell'avvenuto smaltimento in proprio", e la "mancata contestazione da parte di ASCIT. Questo secondo profilo non è investito dal ricorso e dunque il motivo deve essere rigettato. 


2) Con il secondo motivo (con cui deduce: "Error in iudicando: per violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 6, comma 13, e D.M. 24 ottobre 2000, n. 370, con riferimento al mancato assoggettamento ad iva della TIA, in relazione  all'art. 360 c.p.c., 
comma 1, n. 3) la ricorrente assume che la CTR avrebbe erroneamente escluso che la TIA dovuta dal contribuente sia assoggettata ad Iva. 
Giova a questo proposito ricordare che la natura tributaria della T.I.A. è stata affermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza della Corte Cost. 238/2009 (confermata con l'ordinanza n. 64 /2010). 

E da questo dato la sentenza 238 ha tratto l'affermazione secondo cui "la.... inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l'entità del prelievo.... porta ad escludere la sussistenza del rapporto sinallagmatico posto alla base dell'assoggettamento ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 4, e caratterizzato dal pagamento di un corrispettivo per la prestazione di servizi". La natura tributaria della TIA è stata poi ribadita anche da questa Corte a SS.UU. con le sentenze n. 14903/2010 e n. 25929/2011. Si tratta, del resto, di 
giurisprudenza pacifica per cui si veda ad esempio  la recente sentenza della prima sezione civile n. 2320 del 17 febbraio 2012. 
In questa situazione normativa e giurisprudenziale, è intervenuta "la manovra di emergenza" contenuta nel D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010, attraverso l'art. 14, comma 33, (patto di stabilità interno ed altre disposizioni sugli enti territoriali) secondo cui "le disposizioni di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, 
n. 152, art. 238, si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria. Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del  presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria". Disposizione che appare piuttosto contorta e intimamente contraddittoria: se la "tariffa" "non è tributaria" la giurisdizione sembra non possa essere assegnata al giudice tributario neanche per le controversie sorte anteriormente alla entrata in vigore 
del decreto 78. 

E' possibile che attraverso la citata norma la Amministrazione, che ha elaborato il provvedimento, intendesse sottoporre ad IVA le somme versate, in passato, a titolo di TIA (così come si può ricavare dalla Circ. n. 3/DF dell'11 novembre 2010 Min. economia e finanze - Dip. Finanze;mentre la tesi dell'assoggettamento della Tia ad Iva è, ad esempio, esplicitamente enunciata  nella Ris. n. 25/E del 5 febbraio 2003). Si deve però costatare che, se questa era l'intenzione, l'intentio legislatoris non si è tradotta in una voluntas legis, cioè uno contenuto normativo adeguato. 
La stessa circolare 3/DF prende atto della circostanza che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art.  238, crea una "seconda Tia", destinata a sostituire con il tempo la "prima Tia" nata dal  D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art.  49, (nei medesimi termini è il parere della Corte dei Conti Sezione Piemonte n. 65 del li novembre 2010). E dunque il disposto del D.L. riguarda direttamente solo la TIA2 e può essere esteso alla TIA1 solo ove si ritenga che ci si trovi di fronte ad una norma di carattere sostanzialmente interpretativo. 
Ma così non è, perchè la giurisprudenza della Corte Costituzionale e di questa Corte era - come riferito - già al momento della entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2010, pacificamente orientata nel senso di ritenere la natura tributaria e non di corrispettivo della TIA1. E dunque la disposizione sulla Tia2 ha carattere innovativo, o - meglio - istituisce una tariffa che nell'intenzione del legislatore dovrebbe essere ontologicamente diversa rispetto alla "prima Tia". 
La inapplicabilità del  D.L. 78 alla "prima TIA" rende irrilevante ai fini della decisione della controversia ogni questione relativa alla interpretazione della nuova norma ed alla sua legittimità costituzionale. 
Si deve - invece - qui soltanto dar atto che la TIA di cui si discute ha natura tributaria e quindi non è soggetta ad IVA, dal momento che l'Iva come qualsiasi altra imposta deve colpire una qualche capacità contributiva. Ed una capacità contributiva si manifesta quando un soggetto acquisisce beni o servizi versando un corrispettivo, non quando paga un'imposta, sia pure "mirata" o "di scopo" cioè destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il soggetto stesso. 
Per quanto attiene poi all'Iva, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, puntualizza che sono soggetta a tale imposta solo le prestazioni di servizi "verso corrispettivo" e non quelle finanziate mediante imposte. 
Dunque solo ove sussista un "corrispettivo" sarà applicabile il n. 127 sexiesdecies della Tabella A parte terza allegata al  D.P.R. n. 633 del 1972, e dovrà essere applicata l'Iva sulle "prestazioni di gestione, stoccaggio e deposito temporaneo, di rifiuti urbani e di rifiuti speciali nonchè sulle prestazioni di gestione di impianti di fognatura e depurazione. 
Nè appare rilevante la tesi della ricorrente secondo cui la natura tributaria di un'entrata non escluderebbe di per sè l'applicazione dell'Iva (un cenno dubitativo in questo senso si può leggere nella sentenza n. 5298 del 5 marzo 2009 della prima sezione civile della Corte); per giungere risultato cui mira la ricorrente, risultato che si porrebbe in contrasto  con i principi che regolano la materia, sarebbe infatti necessaria una esplicita disposizione legislativa (che 
trasformerebbe l'IVA in una sorta di "soprattassa"); ma tale elemento normativo non è reperibile nel D.L. n. 78 del 2010, nè in altre disposizioni di legge.

Con il terzo motivo (con cui deduce: "Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 8, e del D.Lgs. 18 dicembre 197, n. 472, art. 6, art. 39 regolamento Comune di Capannori approvato con delibera di C.C. n. 26 del 13 aprile 2004, regolamento TIA; nonchè insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la Ascit s.p.a. lamenta che la CTR, nel ritenere non dovute le penalità per omessa comunicazione di variazione, avrebbe insufficientemente motivato in ordine alla individuazione degli elementi sulla base dei quali rinvenire la condizione di obiettiva incertezza. 
Inammissibile è la censura di violazione di legge in assenza di specifica indicazione della argomentazioni della CTR in contrasto con la normativa indicata. 
Inammissibile è altresì la censura in ordine alla motivazione facendo la ricorrente riferimento a circostanze "le penalità sono state irrogate per l'infedeltà della denuncia" contraddette dalla sentenza impugnata - laddove si fa riferimento "ad un nuovo accertamento derivato da una revisione d'ufficio, da parte di Ascit, dei criteri applicativi della tariffa rispetto a quelli dalla medesima precedente applicati in analogia ai criteri TARSU", nè la ricorrente Ascit ha trascritto il contenuto dell'avviso di accertamento. 
Il ricorso deve dunque essere rigettato, non vi è luogo a provvedere per le spese. 

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

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