SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
sentenza del 22 giugno 2012 n. 10426
Motivi della decisione
Con il primo ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2119 c.c. (in correlazione allo specifico contenuto delittuoso dell'infrazione contestata), nonchè il vizio di motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.pc.. L'espressione utilizzata dall'intimato e rivolta alla dott.ssa ______ era gravemente ingiuriosa, intimidatoria ed era stata rivolta ad un superiore gerarchico che era stato deriso ed apostrofato; inoltre la condotta era ancor più grave se si considera che la ____ era una donna e che la frase contestata aveva un particolare carattere irriverente e discriminatorio, proprio sotto questo profilo. L'intimato si era reso gravemente inadempiente proprio in relazione agli obblighi fondamentali del rapporto di lavoro.
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Il motivo appare infondato. Posto che non è controverso che la frase contestata sia stata pronunciata, la Corte territoriale ha attentamente valutato il contesto in cui la stessa risulta essere stata pronunciata; come già accennato, alla stregua delle risultanze istruttorie, è emerso che la frase era stata pronunciata in un contesto non di contrapposizione tra la _____ e il ____ e che era stata preceduta da affermazioni di ordine scherzoso ed infine la stessa frase non era stata direttamente rivolta alla ____ che distava circa 15 metri (secondo un teste anche di più); prima del fatto di cui è processo non vi erano stati altri episodi tra i due. La Corte ha poi esaminato le disposizioni della contrattazione collettiva che prevede come sanzione il recesso solo se il diverbio litigioso è seguito dal ricorso a "vie di fatto...nel recinto dello stabilimento e che rechi grave pregiudizio alla vita aziendale". Anche se la tipizzazione di matrice collettiva non esclude che al fatto possa essere attribuita comunque una diversa gravità in considerazione delle modalità in cui è avvenuto, essa costituisce una indicazione importante circa l'idoneità sanzionatoria di misure non espulsive per comportamenti che comunque non abbiano raggiunto una soglia importante di intolleranza ed aggressività. Pertanto la Corte territoriale ha ritenuto che la condotta tenuta dal ___ pur spiacevole ed inopportuna, soprattutto perchè tenuta nei confronti di una donna, non sia di tale gravità da poter compromettere il rapporto fiduciario tra le parti, considerato che si era trattato di mera intemperanza verbale, immediatamente cessata e non seguita da comportamenti scorretti di altra natura, inidonea a dimostrare una volontà di insubordinazione o di aperta insofferenza nei confronti del potere disciplinare ed organizzativo del datore di lavoro che ben poteva essere sanzionata con una misura non a carattere espulsivo. Ora la motivazione appare congrua e logicamente coerente e supportata da precisi ed univoci riferimenti alle risultanze processuali che hanno consentito di ridimensionare la gravità dei fatti e di circoscrivere l'episodio che, sia pur censurabile, non dimostra la volontà dell'intimato di sottrarsi alla disciplina aziendale o di insubordinarsi, essendo rimasto nei limiti di una (pur certamente stigmatizzabile) intemperanza verbale. Le censure, oltre che generiche e non supportate da richiami puntuali alle risultanze processuali, appaiono di merito, come tali innamissibili in questa sede.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., dell'art. 5 L. n.604/66, dell'art. 244 c.p.c. Nonchè il vizio di motivazione in relazione all'art. 360 comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. Si era indebitamente valorizzata la deposizione del teste "amico" del ricorrente ___ che aveva qualificato la frase come una mera battura, mentre si trattava di grave aggressione verbale ad un superiore gerarchico.
Il motivo appare infondato in qaunto muove censure di mero fatto alla sentenza impugnata, senza neppure offrire una ricostruzione puntuale nè delle dichiarazioni rese dal teste ____ che si assume "compiacente" nei confronti del ___ nè di quanto complessivamente emerso dall'istruttoria espletata. L'allegazione per cui si tratterebbe di un "amico" del ____ non è comprovata in alcun modo, nè si offrono argomenti ulteriori che possano portare a dubitare dell'attendibilità del detto teste che, pealtro, circa la distanza tra il ___ e la ___ al momento in cui fu pronunciata la frase contestata emerge dalla sentenza impugnata aver reso dichiarazioni meno favorevoli al _____ rispetto a quelle rese da altro testimone (____), di cui non si parla nel motivo. Come già ricordato sul punto della ricostruzione del contesto in cui avvenne il fatto la sentenza appare molto attentamente motivata con specifici riferimenti alle risultanze istruttorie, mentre le censure mosse nel motivo sono assolutamente generiche e di merito.
Con il terzo motivo si allega la violazione dell'art. 2119 c.c., dell'art. 3 L. n. 604/66 nonchè il vizio di motivazione in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e .
L'inadempimento era di estrema gravità e tale da minare il rapporto fiduciario tra le parti. Andavano considerati anche i precedenti disciplinari del ____ e comunque si trattava di un grave inadempimento tale da giustificare quanto meno il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Il motivo appare infondato per quanto detto supra; la Corte territoriale ha già ampiamente valutato il comportamento tenuto dal ____ riconducendo l'episodio nei limiti di una mera intemperanza verbale, nè receduta, nè seguita da ulteriori episodi, certamente inidonea ad integrare un'ipotesi di "grave inadempimento". La motivazione appare congrua e logicamente coerente; le censure sono di mero fatto e tendono ad una rivalutazione della prova inammissibile in questa sede. Circa il mancato esame dei precedenti disciplinari da un lato non è stata contestata alcuna recidiva al ____, dall'altro lato parte ricorrente non ha documentato nel motivo se e come la questione sia stata sottoposta come motivo di gravame all'attenzione del Giudice di appello (che non tratta affatto la questione, nè la menziona tra i motivi di appello), contravvenendo pertanto al principio di auosufficienza del ricorso in cassazione.
Si deve quindi rigettare il proposto appello. Le spese di lite – liquidate come al dispositivo – seguono la soccombenza.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 40,00 per esborsi, nonchè per onorari di avvocato che si liquidano in euro 2.500,00 oltre IVA, CPA e spese generali da distrarsi in favore dell'antistatario avv.to ___
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3.4.2012
Depositato in cancelleria il 22 giugno 2012