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Suprema Corte di Cassazione - Sezione VI civile - Ordinanza 25 ottobre 2011 n. 22082


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI CIVILE
Ordinanza 25 ottobre 2011, n. 22082

Motivi della decisione


OSSERVA:
Nella relazione depositata ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., si legge quanto segue: "1. B.A. e A.M.G., premesso di essere comproprietari in ragione del 50% di un immobile che per la restante parte era in comproprietà di Z. P.C.L., Z.C. e Z.L., convenivano in giudizio le predette dinanzi al tribunale di Pisa per sentire dichiarare lo scioglimento della comunione con attribuzione dell'intero immobile ad essi attori, stante la sua indivisibilità.
Le convenute aderivano alla domanda di divisione, chiedendo che l'immobile fosse congiuntamente ad esse attribuito.
Il tribunale attribuiva l'immobile de quo alle convenute sul rilievo che nel gruppo di queste ultime vi era il comproprietario che era titolare della quota maggiore; tale decisione era riformata in sede di gravame, con attribuzione dell'immobile agli attori che erano in comunione legale; le spese del doppio grado di giudizio erano compensate.









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Hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi Z.P.C.L. e Z.L..
Hanno resistito gli intimati, proponendo ricorso incidentale.
Le ricorrenti hanno proposto controricorso al ricorso incidentale.
2. I ricorsi possono essere trattati in camera di consiglio ai sensi degli artt. 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., essendo manifestamente infondati.

RICORSO PRINCIPALE:
L'unico motivo censura la sentenza impugnata che, nel riaffermare i principi in materia di comunione legale e la distinzione con la comunione ordinaria, ne aveva fatto un'applicazione incongruente al caso de quo, avendo violato il principio del favor divisionis al quale è informato l'art. 720 cod. civ. che, nel caso in cui il cespite è attribuito ai coniugi in regime di comunione legale dei beni, non trova applicazione tenuto conto che, a differenza di quanto accade nel caso di comunione ordinaria, i coniugi non possono procedere allo scioglimento finchè dura il regime di comunione legale.
Il motivo va disatteso.
La sentenza ha correttamente applicato alla specie i principi in materia di comunione legale dei beni fra i coniugi, secondo cui la comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza da quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione (arg. ex art. 189, comma 2); mentre nei rapporti con i terzi ciascun coniuge non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene comune, ponendosi il consenso dell'altro coniuge come negozio unilaterale autorizzativo diretto alla rimozione di un limite all'esercizio del diritto dispositivo sul bene (Cass. 14093/2010; 21058/2007; S.U. 17952/2007; Corte Cost. 311/1988).
Proprio la considerazione che la comunione legale costituisce una proprietà solidale senza quote e che i coniugi sono solidalmente titolari, in quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione e che, come rilevato dalle ricorrenti, la stessa non può sciogliersi dimostra che la comunione legale non è equiparabile alla comunione ordinaria con la conseguenza logica che l'attribuzione dell'immobile indiviso ai coniugi non viola ma piuttosto costituisce attuazione del principio del favor divisionis che invece sarebbe stato leso ove l'immobile fosse stato attribuito in comproprietà alle convenute.

RICORSO INCIDENTALE:
Il ricorso denuncia la motivazione apparente e illogica con cui la sentenza impugnata aveva compensato le spese processuali: mentre era da considerarsi apparente la motivazione del Tribunale richiamata per relationem dai Giudici, questi si erano dimostrati incoerenti perchè, dopo avere rilevato che la natura della comunione legale era quella elaborata dai consolidati precedenti giurisprudenziali, aveva poi affermato l'obiettiva incertezza della configurazione teorica dell'istituto.
Il motivo va disatteso.
Il riferimento alla natura del giudizio compiuto dal primo giudice e fatto proprio dalla Corte di appello - esaminato alla luce delle questioni trattate e del complessivo iter logico-giuridico della decisione impugnata - non può configurare una motivazione apparente, atteso che in tal modo i Giudici di secondo grado hanno evidentemente inteso affermare la peculiarità e la complessità della controversia, assumendo rilevanza particolare e decisiva non tanto la natura della comunione legale quanto piuttosto l'applicazione dei relativi principi in tema di attribuzione dell'immobile indivisibile ai sensi dell'art. 720 c.c. (profilo certamente non esaminato dai precedenti richiamati): il che era evidentemente assorbente delle ulteriori considerazioni in merito alla incertezza sulla configurazione giuridica della comunione legale".
Vanno ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione, che il Collegio condivide non potendo ritenersi meritevoli di accoglimento i rilievi formulati dalle ricorrenti con la memoria illustrativa. Qui occorre soltanto sottolinearsi che la struttura normativa della comunione legale fra coniugi è profondamente diversa da quella legale, così che è da escludere che l'attribuzione del bene agli attori, contitolari della quota maggioritaria del 50%, leda il principio del favor divisionis al quale è ispirato l'art. 720 c.c. atteso che - seppure la comunione legale non è un soggetto di diritto distinto dalle persone dei singoli coniugi ma sta piuttosto a indicare il regime patrimoniale al quale è sottoposta la massa dei beni dei coniugi - va evidenziata la considerazione unitaria da parte del legislatore del diritto dei coniugi i quali non sono titolari di un diritto di quota di cui possano disporre come avviene nella comunione ordinaria - ma sono solidalmente titolari di un diritto sui beni comuni di cui ciascuno dei coniugi può disporre senza il consenso dell'altro. Ed invero, nella comunione legale la quota non e un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari (art. 189), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190), e infine la proporzione in cui, sciolta la comunione, l'attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194): il rilievo che, in considerazione della sua natura, la comunione legale non realizza uno stato di indivisione temporaneo o provvisorio trova conferma proprio nella impossibilità per i coniugi di procedere allo scioglimento dei beni (art. 191 c.c.).

Ne consegue che correttamente l'intero immobile è stato attribuito agli attori - come si è detto - contitolari della quota maggioritaria, tenuto conto del principio secondo cui in applicazione del principio del "favor divisionis" nel caso in cui, in presenza d'una pluralità di richieste di assegnazione, nell'eredità sia compreso un immobile non comodamente divisibile, va accolta la richiesta di attribuzione di detto bene del coerede condividente titolare della quota maggiore, e non quella di attribuzione congiunta del bene degli altri aventi diritto a quote tra loro eguali, atteso che quest'ultima a differenza dell'attribuzione del bene al maggior quotista comporterebbe il protrarsi della comunione, sia pure con riferimento ad un numero di partecipanti minore di quello originario (Cass. 8922/1991; 1566/1999; 8827/2008).

Pertanto, il ricorso principale va rigettato.
Vanno condivise le considerazioni del relatore anche relativamente al ricorso incidentale che pure deve essere rigettato.
La peculiarità della vicenda induce a compensare le spese relative alla presente fase.
Ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 1, va formulato, in relazione alla questione oggetto del ricorso principale il seguente principio di diritto:
"Nell'ipotesi di immobili non comodamente divisibili l'attribuzione dell'intero immobile in comproprietà ai coniugi, contitolari in regime patrimoniale di comunione legale dei beni della quota maggiore, non è in contrasto con il principio del favor divisionis al quale è informato l'art. 720 c.c., tenuto conto della considerazione unitaria del diritto dei coniugi i quali - a stregua della disciplina prevista dall'art. 159 c.c. e ss., - non sono titolari di un diritto di quota di cui possano disporre - come avviene nella comunione ordinaria - ma sono solidalmente titolari di un diritto sui beni comuni di cui ciascuno dei coniugi può disporre senza il consenso dell'altro.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa spese.

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