All’origine del diritto romano ci sono formule magico-sacrali che divennero… formule giuridiche!
L’uomo antico usava gesti, parole, abbigliamento per modificare la percezione della realtà, proprio come in un moderno ordinamento giuridico. La parola, usata in veri e propri rituali giudici, aveva la forza di cambiare la percezione della realtà, la scavava, la modellava, operava una trasformazione. La parola creava.
Molti erano i rituali, talvolta anche macabri, da cui è stato elaborato il diritto romano, come l’usanza dei creditori di portare trans tiberi il debitore incapiente che, ove non vendibile o usabile come schiavo, veniva squartato e suddiviso con una cerimonia tra tutti i creditori.
Per i testamenti, per il riconoscimento dei figli e per la manomissione degli schiavi si pronunciavano delle formule davanti all’esercito in armi o davanti al popolo romano nel Foro.
Le compravendite avvenivano alla presenza dei libripens, ovvero banchieri dotati di bilancia e pesi, che servivano per quantificare il prezzo in denaro di un determinato prodotto, e di una festuca, una sorta di bacchetta, che veniva battuta sull’oggetto per formalizzare il passaggio di proprietà. Un pezzo di oro veniva poggiato su un piatto della bilancia, e l’oggetto da vendere (o una zolla di terra in caso di terreno) sull’altro: in questo caso venivano applicate delle formule magico-sacrali al diritto al fine di produrre una modifica delle cose, di sacralizzare i patti, di trasferire le proprietà.
E così, da formule magiche, giuramenti e rituali sacri si crearono obbligazioni, contratti, garanzie, volti a sciogliere od estinguere rapporti, per citare in giudizio un convenuto o per resistere al giudizio.
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