Recentemente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate risolvendo alcuni dei numerosissimi dubbi che sussistevano in ordine agli effetti conseguenti la cancellazione delle società.
Infatti, nel periodo anteriore il 1 gennaio 2004 (ovvero anteriore alla riforma intervenuta nel diritto societario), la cancellazione delle società presso la Camera di Commercio aveva un effetto meramente dichiarativo e la società continuava ad esistere finché non venivano definiti integralmente tutti i rapporti pendenti e riferibili alla società medesima. In pratica, solo con la cessazione di tutti i rapporti giuridici si aveva l’estinzione della società: fintantoché esistevano rapporti debitori e/o creditori da regolare con terzi, vi era una sorta di prosecuzione della capacità e della soggettività delle società commerciali, anche ove fosse intervenuta la liquidazione del patrimonio.
La riforma del 2003, entrata in vigore il 1 gennaio 2004, ha introdotto l’art. 2495, co. II, c.c., che ha cambiato in maniera radicale gli effetti e le conseguenze derivanti dalla cancellazione della società dal Registro delle Imprese.
La cancellazione diviene l’ultimo onere dei liquidatori e, una volta approvato il bilancio finale di liquidazione, si ha l’estinzione della società, sia essa di persone che di capitali. Pertanto, dopo la cancellazione dal Registro delle imprese, gli eventuali creditori insoddisfatti potranno far valere i loro crediti nei confronti dei soli soci, e nei limiti delle somme da questi percepite in base al bilancio di liquidazione.
Va da sé che il principio cancellazione-estinzione si applica sia alle cancellazioni delle società anteriori all’entrata in vigore della riforma (infatti le società già cancellate ma ancora in vita perché avevano in corso, ad esempio, un giudizio si sono estinte a far data dal 1 gennaio 2004), sia alle cancellazioni intervenute successivamente alla riforma.
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